La craniometria e l'antropometria

Posted on
6 Aug 2015
by Kirk; written on
26 Mar 2015
by Argo.
L'interesse per lo studio delle misure del corpo umano nasce prevalentemente nell'ambito delle arti figurative, come l'Uomo vitruviano. L'antropometria è quella parte dell'antropologia che studia i caratteri fisici misurabili e comparabili dell'umanità.
La ricerca antropologica ha sempre mostrato un notevole interesse per la raccolta e lo studio di dati quantitativi provenienti da popolazioni di tutto il mondo. I "tratti quantitativi" in senso lato, quali le misure del corpo, il colore della pelle, i dermatoglifi, etc. sono stati utilizzati per investigare diversi aspetti della biologia umana tra cui il dimorfismo sessuale, la crescita, l'invecchiamento, l'adattamento fisiologico ed altri ancora.

Cavalli-Sforza e Bodmer nel 1971 giunsero alla conclusione che il fenotipo è il riflesso di influenze genetiche e in minor misura ambientali, quali il clima, la dieta e lo stile di vita.
Nel 1912 Boas, confrontando le misure del cranio di bambini nati da immigrati europei negli Stati Uniti con quelle dei loro coetanei dei paesi d'origine, concluse che esisteva per il cranio una "plasticità fenotipica", sottolineando come il fenotipo cambi durante la crescita a seconda delle condizioni ambientali. Boas però non ha tenuto presente che nel caso europeo esiste una varietà più grande di craniometria rispetto alle altre popolazioni, e che non poteva prendere come riferimento la semplice nazionalità dei soggetti in quanto dei generici francesi, tedeschi o ebrei non hanno indici craniometrici omogenei. Sokal (1988) e Barbujani (1990) hanno identificato infatti un certo numero di confini genetici in Europa, legati a differenze geografiche, ecologiche e linguistiche, che mostrano similarità con quelli fenotipici. Come già dissero decenni prima C. S. Coon (1939), E. F. von Eickstedt (1955), J. Czekanowski e J. Baker (1974), in Europa sono presenti sia la dolicocefalia costiera che la brachicefalia dell'entroterra ascrivibile alle tipologie alpine, dinariche e baltiche; tale variabilità cefalica è diffusa pertanto in quasi tutte le nazioni europee, in quanto questi confini non rispecchiano quelli nazionali.
Pretendere che i figli degli immigrati europei negli U.S.A. abbiano le stesse identiche misure craniometriche dei loro coetanei in Europa è come pretendere che entrambi abbiano i capelli biondi o gli occhi verdi. Tale omogeneità non esiste nemmeno tra discendenti che vivono nello stesso continente europeo.


Indice cefalico in Europa.

L'idoneità della metodologia di ricerca usata da Boas fu contestata più volte nelle ricerche successive da altri antropologi. Tra le ultime ricerche atte a rivisitare le conclusioni di Boas, occorre citare "A reassessment of human cranial plasticity: Boas revisited" [Sparks & Jantz, 2002].
Al livello alfa di 0.001, solo 11 dei 156 test effettuati mostrano differenze significative tra i bambini Europidi nati in Europa e quelli nati in America da immigrati. Tutte le differenze significative sono nel campione ebreo, e il 73% di queste differenze è riferito all'indice cefalico. Il campione ebreo consiste in individui di origine ebrea provenienti dalla Russia, Polonia, Germania, Austria, Svizzera e Romania.
Il che come ben sappiamo è assurdo: gli ebrei non mostrano un fenotipo unico, millenni di diaspora e secoli di stanziamento in Europa hanno portato a una grande eterogeneità di fenotipi ebraici, in cui l'indice cefalico varia dalla dolicocefalia alla brachicefalia in base alla provenienza del campione analizzato e sono ben evidenti le differenze dovute all'interbreeding con il sostrato etnico del paese di residenza.

Sempre secondo Sparks e Jantz, le ereditabilità multivariate sono state stimate con la massima verosimiglianza, e mostrano le matrici di varianza-covarianza fenotipica e genetica intra-gruppi e le dimensioni del campione per le stime di ereditabilità. Sia le misure che riguardano la lunghezza della testa sia quelle che riguardano la larghezza mostrano ereditabilità superiori a 0.5, e ciò indica che la maggior parte di variazione fenotipica in questi tratti può essere attribuita a fattori genetici. La larghezza del viso mostra un'ereditabilità leggermente inferiore, che indica una componente di varianza ambientale leggermente più alta; ciò corrisponde bene con i risultati della ANOVA, che mostrano un'influenza ambientale leggermente superiore nell'ampiezza facciale.


Differenza di indice facciale, da sinistra a destra: euriprosopia, mesoprosopia e leptoprosopia.

La regressione dell'indice cefalico in base all'età e all'esposizione ambientale mostra un banale effetto di influenza ambientale sull'indice cefalico. La tendenza predominante nei dati suggerisce un effetto molto più significativo dell'età sull'indice cefalico piuttosto che di durata della residenza nel suolo americano, il che suggerisce una stabilità complessiva dell'indice cranico in risposta ai cambiamenti dell'ambiente e non riesce a supportare le proposizioni di Boas. Anche i risultati estrapolati dai loro calcoli con ANOVA mostrano la prova che le proposizioni di Boas sono in errore. La presenza della significativa interazione in questo modello indica che le differenze di grandezza relativa della variazione tra il campione di origine americana e quello di origine europea dipendono dal gruppo etnico.
Invece del grande influsso della plasticità ambientale rivendicato da Boas e innumerevoli altri che hanno citato il suo lavoro, la nostra analisi rivela un'alta ereditabilità nei dati della famiglia e nella variazione tra i gruppi etnici, che persiste nell'ambiente americano. La ricerca su questo argomento ha dimostrato grandi influenze sulla statura umana e le percentuali di grasso corporeo dovute al cambiamento delle condizioni ambientali, ma gli unici studi in grado di affrontare gli effetti di questi mutamenti del cranio sono stati pubblicati 50-90 anni fa. L'accettazione acritica delle scoperte di Boas ha portato a 90 anni di malintesi circa l'influenza della plasticità. La rianalisi dei dati di Boas non solo non sostiene la sua tesi che la plasticità ambientale è una fonte primaria di variazione cranica, ma supporta piuttosto ciò che gli antropologi fisici sapevano da tempo: la maggior parte della variazione è genetica.
E ancora:
Circa 10 anni prima dello studio degli immigrati, Boas è stato uno degli antropologi più (se non il più) orientati statisticamente e quantitativamente, come si è visto nelle pubblicazioni del periodo precedente allo studio degli immigrati. Nella relazione finale presentata al Congresso, la fluidità statistica di Boas tende a scomparire, forse di fronte a un insieme di dati così grande e la mancanza di adeguati test statistici. Nel periodo in cui è stato pubblicato questo studio, i risultati sono stati presentati in modo da far apparire i dati nel modo più convincente possibile. Dobbiamo anche considerare l'atteggiamento di Boas verso il razzismo scientifico di quei tempi. La prova del disprezzo di Boas per le idee spesso razziste in antropologia sono state esaminate in precedenza e sono evidenti anche nelle sue pubblicazioni successive. Le motivazioni che hanno portato Boas ad effettuare lo studio sugli immigrati potrebbero essere riassunte nel suo tentativo di eliminare le idee razziste presenti nei primi anni del XX secolo, e la sua tesi sulla causa ambientale del cambiamento della forma della testa avrebbe fornito prove sufficienti per abbattere il pensiero ideologico. Non rilasciamo alcuna pretesa sul fatto che Boas abbia fatto conclusioni ingannevoli o mal ideate: è evidente che ci siano differenze tra i campioni nati in America e quelli nati in Europa. Quello che affermiamo è che quando i suoi dati vengono sottoposti ad analisi moderna, non supportano le sue dichiarazioni circa l'influenza dell'ambiente sulla forma del cranio.
Oggi si ritiene infatti che sebbene esista una certa plasticità per le misure del cranio, essa non è tale da oscurarne la natura genetica e i dati craniometrici possono essere usati per esplorare questioni di flusso genico e affinità genetica [Relethford 1994, 2004].
Pertanto, nei casi in cui il genotipo non è disponibile, il fenotipo può essere utilizzato come un buon indicatore per il genotipo nei modelli quantitativi genetici delle popolazioni [Cheverud 1988], e i tratti craniometrici quantitativi sono stati inseriti con successo nei metodi di genetica delle popolazioni per fornire una conoscenza della struttura della popolazione umana [Neus Martínez-Abadías et al. 2009].
Analizzando uno scheletro, senza aver presente quindi colore dei capelli e della pelle, un antropologo fisico riesce a risalire alla sua origine razziale e sa distinguere un giapponese da un cinese o da un vietnamita, o persino un giapponese settentrionale da un giapponese meridionale [Ousley et al. 2009].


I tratti quantitativi più utilizzati in letteratura sono le misure delle caratteristiche fisiche degli individui e la stima della loro variabilità tra le popolazioni. L'insieme delle tecniche e dei metodi impiegati per rilevare queste misure costituiscono quella branca dell'Antropologia detta "Antropometria".
In Antropometria si utilizza un insieme codificato di misure rilevate sia sul vivente (Somatometria) sia sui distretti scheletrici (Osteometria).
Poiché le misure antropometriche sono determinate da una componente genetica, e dato che le differenze genetiche tra le popolazioni ci forniscono utili informazioni sulla struttura e la storia delle stesse, possiamo utilizzarle per fare luce su tali aspetti attraverso l'analisi sia delle distanze genetiche tra le popolazioni, sia della loro variabilità fenotipica. Tra tutte le misure antropometriche, nel tempo, hanno assunto particolare importanza le misure del cranio, ritenute infatti più sotto stretto controllo genetico rispetto a quelle dello scheletro post-craniale.


Un'altra importante questione che riguarda i tratti quantitativi è se essi siano sottoposti alla selezione naturale o se piuttosto rispondano ad un modello "neutrale". Quando si indaga la storia delle popolazioni bisogna infatti evitare di prendere in considerazione quei caratteri che riflettono un adattamento comune piuttosto che un'origine comune.
Questo problema è particolarmente evidente, ad esempio, per il colore della pelle [Jablonski e Chaplin, 2000].

Gli africani settentrionali infatti, sebbene scuri di pelle in seguito all'adattamento climatico, nonostante la loro distanza geografica sono più vicini geneticamente agli altri caucasoidi europei piuttosto che ai congoidi sub-sahariani. Questo è confermato anche antropometricamente analizzando il fenotipo dei Maghrebini, che rivela uno scheletro caucasoide; queste popolazioni caucasoidi hanno da sempre abitato il nord dell'Africa e gli scheletri trovati nei siti archeologici nordafricani hanno rilevato la loro presenza sin dal Paleolitico. Friedman nel 2014 rivela infatti che sono stati ritrovati degli scheletri nel Sudan, che mostrano ferite mortali in seguito a una guerra tra una popolazione caucasoide e una congoide, e che questi resti risalgono a ben 13000 anni fa.
Con la nascita del deserto del Sahara, questo confine naturale è diventato anche genetico e fenotipico [Cavalli-Sforza et al. 1994].


Albero filo-genetico che evidenzia la distanza genetica tra gli africani caucasoidi e quelli subsahariani. [Cavalli-Sforza]

Roseman nel 2004 ha inoltre indagato il grado di corrispondenza tra la variazione craniometrica globale e quella genetica. La disponibilità di dati craniometrici globali, ricavati dal database di Howells (1973, 1989), e di database genetici, ha permesso una vasta comparazione tra un gran numero di popolazioni. Un risultato di questi studi è stato l'analisi di come è distribuita la variabilità genetica globale.

Grazie allo sviluppo di nuovi metodi di analisi statistica multivariata, i tratti antropometrici, ed in particolare quelli craniometrici, possono offrirci molte informazioni utili sulla storia e la struttura delle popolazioni, sia di quelle viventi che di quelle estinte di cui ci rimangono solo reperti scheletrici [Relethford, 2003].

Visto che i dati craniometrici globali [Roseman & Weaver, 2004] mostrano un pattern di variabilità regionali strettamente correlate alla variabilità genetica mostrata dalle analisi dei marker genetici classici e nucleari (come quelle eseguite da Barbujani et al. nel 1997), e visto che possiamo riconoscere attraverso l'antropometria anche razze regionali ben distinte [Ousley et al. 2009], la coerenza tra i dati craniometrici e quelli genetici ci incoraggia nel portare avanti le indagini sulle distanze biologiche utilizzando la variabilità craniometrica.

Tabelle craniometriche delle 3 principali razze mondiali



Differenze craniometriche tra le 6 razze mondiali


Differenze tra crani Europidi


Caratteristiche craniometriche ed antropometriche delle tipologie Europidi



Dimorfismo sessuale